LAVORARE PER VIVERE O VIVERE PER LAVORARE?
Il tempo libero ha
da sempre ossessionato l’essere umano; difatti un uomo dal momento della
propria crescita, prima frequentando la scuola e in seguito recandosi al lavoro
ha come pensiero fisso la libertà. Ma come fare se il tempo libero diventa una
vera e propria ragione di vita?
Questo paradosso
viene analizzato dall'autore D. Mothè nella sua opera “L’utopia del tempo
libero” e anche il titolo rivela il carattere ossessivo del tempo libero;
infatti “utopia” significa (secondo definizione del dizionario): l’oggetto di
un’aspirazione ideale, non suscettibile di realizzazione pratica.
Dunque per
l’autore dietro al tempo libero si nasconde un vero e proprio circolo vizioso; gli uomini hanno sempre ambito ai desideri riguardanti lo svago per i quali
bisogna provvedere attraverso mezzi finanziari più alti, a seconda della
condizione in cui si trova la persona; questi mezzi economici possono essere
raggiunti tramite il lavoro ma, di conseguenza, se una persona è occupata eccessivamente
da quest’ultimo, dove troverà il tempo per godersi il tempo libero?
La risposta
corretta probabilmente non esiste. Nella vita di oggi trovare un perfetto
equilibrio tra lavoro e tempo libero è veramente utopico e in poche persone
riescono a raggiungere questo obiettivo; c’è chi si concentra solo sull'impiego, divorato dalla “fame di soldi e di successo” e finisce per
trascurare ciò che nella vita conta davvero, ossia l’amore, la famiglia e lo
svago. Al contrario, sono presenti casi di persone che vivono basandosi sulla
teoria del “Carpe diem” ossia di godersi l’attimo e molto probabilmente
arriveranno a trent'anni e vivere sotto un ponte, o qualcosa di simile.
Analizzando la
storia del tempo libero, ossia l’insieme di attività svolte all'esterno dell’attività lavorativa, ci accorgiamo che questo concetto non è sempre
esistito. Il tempo libero nasce tra il diciannovesimo e ventesimo secolo,
quando è mutata la condizione di vita degli uomini da contadini a operai e con
i ritmi della fabbrica, si è venuto a creare il cosiddetto “tempo libero” (senza
funzioni lavorative); in questo periodo si sono diffusi i caffè, i ristoranti,
le sale da ballo e i cinema.
Da qui si collega il secondo aspetto del ragionamento
di Mothè, ossia quello economico: è giusto che chi è in condizioni di vita
migliore abbia opportunità di svago migliori?
Probabilmente la popolazione media, molto egoista, risponderebbe
affermativamente a questa domanda, andando ad analizzare ogni singola
situazione troviamo delle incongruenze. Ad esempio, è giusto che una madre per
accontentare il figlio compia sacrifici enormi, senza che questi desideri vengano
mai appagati? Io non credo proprio.
Eppure la società
odierna funziona così, facendo dilagare l’egoismo e l’isolamento dei singoli.
Un’altra
problematica della società di oggi, forse quella più preoccupante, è quella
della continua ricerca del piacere che, una volta raggiunto, non verrà mai
appagato; a pensarla così, già prima di noi, è stato il grande poeta Giacomo Leopardi e bisogna riconoscere
che aveva proprio ragione.
La conseguenza è
che ci si ritrova a rincorrere qualcosa che non ci basterà mai. Ad esempio,
dopo aver partecipato ad una festa, o dopo aver acquistato un oggetto, ritorna
subito il desiderio di altro e quindi, ci si gode veramente questo tanto
mitizzato tempo libero? È da qui che si capisce la scelta del sostantivo
“utopia” in associazione a esso.
La disponibilità
di accesso ai beni è in proporzione ai soldi che si guadagnano e quindi si
potrebbe arrivare alla conclusione che la felicità coincida con i soldi ma,
nella realtà, bisogna distinguere la felicità dalla vera Gioia e quest’ultima è
conquistabile solo attraverso i beni immateriali, ossia le emozioni.
In conclusione io
penso che non esista una regola perfetta da poter applicare alla relazione
lavoro/tempo libero. Il circolo vizioso esiste, è reale e spetta alla singola
persona non essere travolto da esso per poter vivere nei migliori dei modi.
a cura di Chiara Lista, V C tur
(da una traccia di maturità)
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