lunedì 29 aprile 2019

A COLLOQUIO CON LO SCRITTORE: INTERVISTA AD IVAN RUCCIONE


A COLLOQUIO CON LO SCRITTORE: INTERVISTA AD IVAN RUCCIONE

La redazione di Casale Creativo ha intervistato Ivan Ruccione, giovane cuoco, scrittore e blogger vigevanese.

Cosa voleva fare prima di fare il cuoco?
Non ho mai avuto idee chiare sul mio futuro, in passato. Nessuna particolare ambizione. Forse è questo che mi ha fregato. Una cosa è certa, però: mi piaceva pensare. Credo sia partito tutto da questa predisposizione all'introspezione. Le maestre delle elementari dicevano ai miei genitori che ero spesso con la testa tra le nuvole.
Da chi è che ha appreso la passione per la cucina?
È successo per caso. Frequentavo il primo anno di Lettere Moderne all'Università di Pavia e nel frattempo volevo lavorare. Così ho trovato un posto da lavapentole/aiuto cuoco in un ristorante della riviera ligure per la stagione estiva. Il capo cuoco ha notato delle potenzialità, nonostante l'inesperienza, e mi ha spronato a coltivare il mestiere.
Qual è il suo piatto preferito? E quello che preferisce cucinare?
Non ho un piatto preferito, ma vado matto per i primi, e di conseguenza mi diverte molto cucinarli.
Stiamo lavorando sugli stereotipi… secondo lei quali sono quelli della cucina italiana? Sono veri secondo lei?
Non so se siano veri gli stereotipi. So per certo che è un brutto mestiere. Questo l'ho capito con gli anni. Ruba quasi tutto il tempo a disposizione per se stessi. Si vive spesso in un ambiente gerarchico e totalitario, dove le persone vengono vessate. È un lavoro in cui lo stress psicologico e fisico tocca vette inimmaginabili. I tanti programmi di cucina hanno creato un mito sulla bellezza e il fascino di essere cuochi. Passa in sordina, però, il dietro le quinte del sipario che hanno aperto: lavoratori costretti a turni di oltre dieci ore, sottopagati, con contratti forfettari da sì e no mille euro, e il resto in nero; per non parlare degli stagisti, i ragazzi delle scuole alberghiere, che lavorano gratuitamente nella maggior parte dei casi.
Perché ha deciso di scrivere un libro?
Perché i libri sono la mia passione. Mi piace leggere, innanzitutto. Scrivere è una conseguenza della mia attenzione al pensiero, ai dettagli, alla mediocrità dell'essere umano. E poi, come per i musicisti, o i pittori, o chi vuole fare arte in generale: un po' ci sei portato, ma se non studi e non sanguini sul tuo sogno, è lo stesso sogno che ti seppellisce.
Qualcuno le ha mai chiesto di fare un autografo? Se sì, quando la prima volta?
Assolutamente mai.
Come andava a scuola? Aveva delle difficoltà? Quali erano le sue materie preferite?
Molte difficoltà nelle materie scientifiche, che non mi interessavano per niente. Le mie preferite erano le umanistiche.
Ha dei progetti sul futuro?
Continuare a leggere, studiare i fallimenti degli esseri umani – per primi i miei – e scrivere. Essere sereno, padrone di me stesso, padrone del mio tempo. In fondo, il tempo non è l'unica cosa che abbiamo?
Abbiamo saputo attraverso i suoi social che lei è juventino… è vero? ci può raccontare un po’ della sua fede calcistica?
Sono juventino perché mio padre lo è, così come lo era suo padre. Una passione tramandata. Però ho una seconda squadra del cuore, il Genoa, che mi sono scelto da solo. Ho iniziato a seguirla intorno ai ventidue anni. Sono anche andato più volte allo stadio. Del Genoa mi piace il particolare calore del tifo, la città che rappresenta, così romantica, malinconica e selvaggia; mi piace il bandierone con il volto di Fabrizio De André, che sventola in gradinata nord. E mi piace essere nato lo stesso giorno in cui il club è stato fondato: il 7 settembre.

a cura di Lo Bosco Mercedes e Totaro Simone 

(lavoro svolto nell'ambito del progetto PON "E il naufragar m'é dolce in questo blog")

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