A COLLOQUIO CON LO SCRITTORE: INTERVISTA AD IVAN RUCCIONE
La redazione di Casale Creativo ha intervistato Ivan
Ruccione, giovane cuoco, scrittore e blogger vigevanese.
Cosa voleva fare prima
di fare il cuoco?
Non ho mai avuto idee chiare sul mio futuro, in
passato. Nessuna particolare ambizione. Forse è questo che mi ha fregato. Una
cosa è certa, però: mi piaceva pensare. Credo sia partito tutto da questa
predisposizione all'introspezione. Le maestre delle elementari dicevano ai miei
genitori che ero spesso con la testa tra le nuvole.
Da chi è che ha
appreso la passione per la cucina?
È successo per caso. Frequentavo il primo anno di
Lettere Moderne all'Università di Pavia e nel frattempo volevo lavorare. Così
ho trovato un posto da lavapentole/aiuto cuoco in un ristorante della riviera
ligure per la stagione estiva. Il capo cuoco ha notato delle potenzialità,
nonostante l'inesperienza, e mi ha spronato a coltivare il mestiere.
Qual è il suo piatto
preferito? E quello che preferisce cucinare?
Non ho un piatto preferito, ma vado matto per i
primi, e di conseguenza mi diverte molto cucinarli.
Stiamo lavorando sugli
stereotipi… secondo lei quali sono quelli della cucina italiana? Sono veri
secondo lei?
Non so se siano veri gli stereotipi. So per certo
che è un brutto mestiere. Questo l'ho capito con gli anni. Ruba quasi tutto il
tempo a disposizione per se stessi. Si vive spesso in un ambiente gerarchico e
totalitario, dove le persone vengono vessate. È un lavoro in cui lo stress
psicologico e fisico tocca vette inimmaginabili. I tanti programmi di cucina
hanno creato un mito sulla bellezza e il fascino di essere cuochi. Passa in
sordina, però, il dietro le quinte del sipario che hanno aperto: lavoratori
costretti a turni di oltre dieci ore, sottopagati, con contratti forfettari da
sì e no mille euro, e il resto in nero; per non parlare degli stagisti, i
ragazzi delle scuole alberghiere, che lavorano gratuitamente nella maggior
parte dei casi.
Perché ha deciso di scrivere un libro?
Perché i libri sono la mia passione. Mi piace
leggere, innanzitutto. Scrivere è una conseguenza della mia attenzione al
pensiero, ai dettagli, alla mediocrità dell'essere umano. E poi, come per i
musicisti, o i pittori, o chi vuole fare arte in generale: un po' ci sei
portato, ma se non studi e non sanguini sul tuo sogno, è lo stesso sogno che ti
seppellisce.
Qualcuno le ha mai
chiesto di fare un autografo? Se sì, quando la prima volta?
Assolutamente mai.
Come andava a scuola?
Aveva delle difficoltà? Quali erano le sue materie preferite?
Molte difficoltà nelle materie scientifiche, che
non mi interessavano per niente. Le mie preferite erano le umanistiche.
Ha dei progetti sul
futuro?
Continuare a leggere, studiare i fallimenti degli
esseri umani – per primi i miei – e scrivere. Essere sereno, padrone di me
stesso, padrone del mio tempo. In fondo, il tempo non è l'unica cosa che
abbiamo?
Abbiamo saputo
attraverso i suoi social che lei è juventino… è vero? ci può raccontare un po’
della sua fede calcistica?
Sono juventino perché mio padre lo è, così come lo
era suo padre. Una passione tramandata. Però ho una seconda squadra del cuore,
il Genoa, che mi sono scelto da solo. Ho iniziato a seguirla intorno ai
ventidue anni. Sono anche andato più volte allo stadio. Del Genoa mi piace il
particolare calore del tifo, la città che rappresenta, così romantica,
malinconica e selvaggia; mi piace il bandierone con il volto di Fabrizio De
André, che sventola in gradinata nord. E mi piace essere nato lo stesso giorno
in cui il club è stato fondato: il 7 settembre.
a cura di Lo Bosco Mercedes e Totaro Simone
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